Inquinamento e contaminazione del cibo

L’uomo, possiamo schematizzare, è una macchina molto complessa il cui motore essenziale, la cellula, ricava la sua energia dall’ossigeno dell’aria e dal cibo.

L’ossigeno viene catturato dai polmoni, poi viene passato al sangue che lo distribuisce ad ogni cellula affinché possano avvenire le sue reazioni vitali.

Gli alimenti devono essere trasformati rompendosi nelle loro componenti essenziali che vengono utilizzate per tutti i metabolismi cellulari, tra cui il cosiddetto ciclo di Krebs, fondamentale, che sta all’interno dei mitocondri; una serie di reazioni chimiche grazie alle quali i carboidrati, i grassi e le proteine vengono degradate ad anidride carbonica e acqua ricavando energia chimica.

Ovviamente gli alimenti devono contenere ed avere proprietà che la cellula “gradisce” e riesce a gestire, in altre parole, il cibo deve contenere le molecole che possono venire utilizzate nei cicli metabolici.

Per spiegare il concetto:

i motori di un’automobile sono alimentati a benzina, a gasolio o anche a metano. I motori stessi sono stati costruiti e ottimizzati per funzionare con uno di questi carburanti.

Non è possibile costringere una macchina fatta per bruciare benzina a funzionare, per esempio, a gasolio. Il motore non riuscirebbe a servirsi di quel tipo di carburante, a produrre energia e a far camminare l’autovettura.

Lo stesso concetto vale per l’uomo e per la donna, per gli esseri viventi.

Il CIBO che si introduce nel corpo deve avere certe caratteristiche:

*I denti devono essere in grado di triturarlo e mescolarlo con la saliva. Deve avere una certa consistenza, infatti non è possibile ingerire polvere. Se si vuole ingerire farina, ad esempio, la si deve mescolare con un liquido, non acqua perché formerebbe i grumi, ma con un olio in modo di creare una specie di crema che può passare liberamente dall’esofago e giungere allo stomaco.

*Nello stomaco il cibo ingerito deve avere la possibilità di essere degradato dalle sostanze chimiche, acido cloridrico in primis, che lì vengono prodotte.

Ciò che non riesce ad essere intaccato passerà inalterato e, se non avverrà qualcosa nell’intestino, proseguirà lungo il tubo digerente per uscirne pressoché intatto. Se s’ingerisce qualcosa di non degradabile, per esempio una monetina metallica, questa passerà indisturbata, o meglio, i prodotti chimici dello stomaco tenteranno di degradarla ma ne faranno al massimo una pulizia superficiale (la lucideranno!).

La moneta poi proseguirà il suo percorso nel tubo digerente, spinta dai movimenti peristaltici, per poi essere eliminata tale e quale con le feci. O almeno speriamo. Questo meccanismo funziona per oggetti relativamente grossolani metallici o plastici, ma non per oggetti piccoli, micrometrici, che possono aderire alle pareti del tubo digerente. Questi ultimi possono rimanere attaccati alla mucosa e rimanerne intrappolati, magari nascondendosi fra le pieghe dei villi intestinali, e non essere quindi eliminati.

In queste condizioni il tessuto, cioè l’insieme di cellule strutturalmente simili votate ad una funzione o ad una serie di funzioni comuni, reagisce a queste presenze estranee dando origine a reazioni biologiche dovute tipicamente ai corpi estranei.

La principale: l’INFIAMMAZIONE.

Un’infiammazione cronica può degenerare in patologie importanti.

*Nel duodeno, nel tenue, nel colon e nel retto il cibo che viene degradato, nello stomaco viaggia verso la parte terminale(ano) ma nel frattempo, una parte, quella con le caratteristiche “giuste” (chimica e dimensioni) viene assorbita, attraversando la parete, per poi diventare nutrimento per le cellule di tutto il corpo. Tutto ciò che è solido e non rientra nelle caratteristiche idonee, se non riesce ad essere eliminato, induce di regola una reazione biologica di natura infiammatoria con la generazione di un granuloma: una proliferazione di cellule che avvolgono “l’intruso” per isolarlo dal resto del tessuto. Quando il corpo estraneo ha una dimensione sufficientemente ridotta, può entrare spontaneamente nelle cellule fino al nucleo dove può interagire con il DNA fino a dare origine ad un processo di cancerogenesi.

Un po’ meno drammaticamente ma poi non troppo, può indurre condizioni quali, ad esempio, la stitichezza o, all’opposto, diarrea o forme infiammatorie croniche come il morbo di Crohn.

E’ allora più che evidente che occorre ingerire solo cibi che possono concorrere al nutrimento e al buon funzionamento del corpo senza cui è inevitabile lo stato di malattia.

Il cibo che fa funzionare il motore dell’uomo viene reperito da sempre nel suo ambiente.

Dalla notte dei tempi l’uomo mangia ciò che trova attorno a sé, quanto gli animali offrono, dalla carne alle uova al latte, e poi frutta e verdura, cresciute spontaneamente o coltivate. Questo cibo è ciò di cui abbiamo bisogno, sarebbe sano se non gli si aggiungessero composti chimici, ma anche se agli animali che ci forniscono alimenti fosse dato da mangiare cibo altrettanto sano e non inquinato.

Il cibo che si raccoglie ora nell’ambiente risente in modo pesante dell’inquinamento che l’uomo ha creato e rilasciato nell’atmosfera, nel suolo e nell’acqua.

L’inquinamento ambientale, soprattutto quello industriale, una volta disperso nell’aria, prima o poi ricade a terra finendo su frutta, verdura e cereali, per poi arrivare irrimediabilmente sulle nostre tavole. È ovvio che il bestiame che si nutre di vegetali inquinati a sua volta ne risulti contaminato. Quest’ultimo si ammalerà e farà ammalare chi mangia la sua carne, il suo latte, le sue uova. L’inquinamento, insomma, non si ferma e viene trasmesso.

Se abbiamo avvelenato l’aria, non abbiamo certo risparmiato l’acqua, dagli oceani alle falde acquifere, e senza acqua non si sopravvive.

L’inquinamento arriva dalle fonti più disparate con l’industria saldamente al primo posto.

In un momento storico, in cui la maggior parte delle persone non ha un legame diretto con la produzione e la trasformazione degli alimenti, quasi nessuno pensa più al cibo come fonte di sopravvivenza, ma solo al fatto che faccia ingrassare o dimagrire, che sia “super” e ci riporti in salute, che sia più o meno nocivo all’ambiente o agli animali, oppure semplicemente squisito: il cibo è diventato un concetto ed un vero e proprio mezzo di espressione sociale.

Tutti parlano di diete e mangiare sano, ma sono migliaia le persone che si ammalano ogni anno esprimendo patologie legate al modo in cui si alimentano e assorbono i nutrienti.

La cultura tradizionale del cibo preparato con cura, unita alla conoscenza delle materie e al riconoscimento del legame indissolubile con l’ambiente in cui viviamo sono la base per la riconquista di un corpo in salute.

Ci sono delle regole? Sì, ma non valgono per tutti.

Ognuno di noi è un ecosistema con le sue regole e le sue personali necessità e nessun medico ha la pillola miracolosa che potrà guarire da una patologia, che sia autoimmune o infiammatoria.

Sarà necessario così sperimentare e trovare i cibi e le condizioni climatiche, ambientali e psicologiche che riporteranno nel nostro sistema l’equilibrio perduto, imparando a conoscere il nostro principale alleato, ma anche il nostro peggior nemico: il CIBO.

Gli esseri umani si sono evoluti cercando di sopravvivere, adattandosi ai cambiamenti climatici, alle estinzioni e alle sperimentazioni.

Nei 5 milioni di anni passati da quando i primi ominidi sono emersi per la prima volta in Africa orientale, il clima della Terra è cambiato continuamente, facendo avvicendare nel corso di centinaia di migliaia di anni deserti, foreste, praterie, glaciazioni, ancora prima che gli esseri umani iniziassero a lasciare la loro impronta sul territorio.

Sarebbe stato in questo contesto di rapido mutamento che gli esseri umani hanno evoluto il loro cervello e la capacità di comportamento adattativo: in un mondo simile, la capacità di pensare in modo creativo, di immaginare nuove soluzioni alle minacce di sopravvivenza, si è rivelata una risorsa importante.

Gli esseri umani differiscono dagli animali essenzialmente per una cosa in particolare: gli adattamenti culturali.

A partire dal continente africano, siamo riusciti a colonizzare e stabilirci in tutte le condizioni climatiche del mondo e anche se il corpo umano ha subìto tantissimi adattamenti fisiologici per specializzarsi a sopravvivere nei nuovi contesti, gli adattamenti culturali, come ad esempio il tipo di abbigliamento, il modo di trattare gli alimenti per renderli commestibili e ottenere il massimo delle sostanze nutritive, il tipo di abitazioni in cui ci siamo protetti dal clima e altre minacce, ci rendono estremamente diversi dagli animali.

Gli animali se aumenta il freddo non si mettono un cappotto.

Quelli che riescono a farlo producono un pelo più folto, gli altri sono destinati a soccombere. Popolazioni artiche native si sono adattate a vivere nelle condizioni più inospitali e l’hanno fatto utilizzando le uniche risorse disponibili, quelle animali.

È stato l’istinto a portarli a nutrirsi di carne cruda, anche se avevano il fuoco, impedendo così loro di morire per mancanza di vitamine?

Se avessero cotto la carne non sarebbero sopravvissuti.

Scorbuto, dolori articolari, gengiviti e piorree, emorragie, degenerazioni fisiche e mentali afflissero le spedizioni europee e statunitensi anche nel XX secolo, mentre le popolazioni artiche native, che vivevano di pesci e carne fresca e soprattutto non cotta, erano libere dalle malattie.

Per evolvere queste conoscenze sono serviti migliaia di anni, migliaia di informazioni trasmesse e codificate in comportamenti tradizionali o in retaggi culturali ai quali oggi molti non danno alcuna importanza quando invece si tratta della base stessa della nostra sopravvivenza.

Che fine fa la PIRAMIDE ALIMENTARE piena di cereali, verdura e frutta in un luogo in cui non esistono e si sopravvive alla grande mangiando carne praticamente cruda e grassi esclusivamente di origine animale?

Oggi chi passa le informazioni?

Come riconosciamo le informazioni giuste se non vengono dall’esperienza personale, ma da ”QUELLI CHE SANNO”?

La nostra sopravvivenza si è sempre basata sulla socialità e sul fatto che condividiamo informazioni, creiamo e trasmettiamo conoscenza, adattandoci così a nuove situazioni.

Oggi non è più così: chi non metteva in atto le corrette strategie di sopravvivenza in passato moriva, mentre oggi si sopravvive più o meno tutti, malati e inetti, e tutti i tipi di informazione sembrano avere valore basta che sia “DETTO ALLA TELEVISIONE”.

A cura della Dott.ssa Romana Allegranza, Nutrizionista.
In redazione Nadia Copetti, Autrice.

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